I Rothschild e Napoleone: tra mito reazionario e realtà storica

Napoleone Bonaparte Imperatore dei Francesi e Re d’Italia

L’ascesa della dinastia bancaria dei Rothschild, tra la fine del XVIII e l’inizio del XIX secolo, fu strettamente legata al contesto politico europeo sconvolto dalle guerre rivoluzionarie e napoleoniche. Al centro di questa storia vi fu l’alleanza con Guglielmo I d’Assia-Kassel, uno dei principi tedeschi più ricchi d’Europa, la cui fiducia fornì ai Rothschild il trampolino decisivo verso il potere finanziario internazionale.

Discendente di una dinastia che aveva accumulato enormi fortune grazie all’antica pratica di “affittare” i propri soldati come mercenari alle potenze straniere (celebre fu l’accordo con la Gran Bretagna durante la Guerra d’Indipendenza americana), Guglielmo ereditò immense ricchezze. Tuttavia, in un’epoca segnata da rivoluzioni, invasioni e crolli di regimi, nessun patrimonio poteva dirsi al sicuro. I principi tedeschi avevano bisogno di uomini fidati capaci di proteggere capitali mobiliari e, possibilmente, farli fruttare.

Mayer Amschel Rothschild, capostipite della dinastia

In questo scenario emerse Mayer Amschel Rothschild, mercante e cambiavalute ebreo-ashkenazita, che nel 1769 – anno in cui Napoleone nasceva – fu nominato Hoffaktor (agente di corte) da Guglielmo. Per una famiglia ancora soggetta a restrizioni e pregiudizi, quella nomina rappresentò un salto epocale: non solo prestigio, ma anche accesso diretto ai grandi circuiti della finanza e della politica europea.

Mayer Amschel era nato nel 1743 a Francoforte, figlio di Moses Amschel Bauer, un modesto cambiavalute e mercante. Il cognome Bauer, molto diffuso in Germania, significava “contadino”. La famiglia abitava e teneva la propria bottega in una casa del ghetto ebraico contraddistinta da un’insegna con uno scudo rosso (rot Schild in tedesco). In un’epoca in cui le abitazioni non erano numerate ma identificate da simboli, quella insegna divenne il tratto distintivo della famiglia. Mayer Amschel, abbandonando il cognome paterno Bauer, adottò quello di Rothschild, ossia “dello Scudo Rosso”. Un nome destinato a diventare sinonimo di potere finanziario globale.

Con lo scoppio delle guerre rivoluzionarie e, successivamente, con l’avanzata di Napoleone in Germania, il rischio di confisca dei beni aristocratici crebbe vertiginosamente. Guglielmo, costretto a fuggire dinanzi alle truppe francesi, affidò ingenti capitali ai Rothschild. La famiglia seppe gestire quelle ricchezze attraverso una rete di parenti e corrispondenti, dislocati tra Francoforte, Vienna, Parigi, Napoli e, soprattutto, Londra, dove Nathan Mayer Rothschild si era stabilito dal 1798.

Fu proprio Nathan a trasformare l’incarico in un’occasione storica: a Londra divenne il perno attraverso cui far transitare i fondi dell’elettore d’Assia, proteggendoli dal controllo francese e facendoli fruttare sui mercati finanziari britannici. Da quel momento i Rothschild non furono più semplici banchieri locali, ma gestori di patrimoni internazionali.

Contrariamente a molti miti successivi, dunque, i Rothschild non furono mai alleati di Napoleone. Anzi, la loro fortuna si costruì proprio nella capacità di sottrarre capitali al suo controllo e di sostenere indirettamente i suoi nemici. Il paradosso fu che proprio la pressione napoleonica rese i Rothschild indispensabili: più i patrimoni aristocratici erano in pericolo, più i principi e le monarchie cercavano rifugio nella loro rete finanziaria.

Il ruolo più rilevante spettò a Nathan, che dette vita al ramo londinese della famiglia. Durante le campagne contro Napoleone, i Rothschild organizzarono trasferimenti di denaro, pagamenti e approvvigionamenti per l’esercito britannico e per le armate delle coalizioni antifrancesi. La loro rete di corrieri e banchieri consentiva a Londra di far arrivare fondi in tutta Europa, persino in territori sotto occupazione francese.

Battaglia di Waterloo

In tal modo, la “famiglia dello Scudo Rosso” non solo custodì i patrimoni dei principi tedeschi, ma divenne parte integrante dello sforzo bellico che avrebbe condotto alla caduta di Napoleone. La battaglia di Waterloo (18 giugno 1815) fu il momento della consacrazione. Grazie alla loro efficiente rete informativa, i Rothschild furono tra i primi a conoscere l’esito dello scontro. Questa tempestività permise loro di consolidare la propria posizione sulla piazza finanziaria londinese. Si racconta che Nathan Rothschild si recò subito alla Borsa di Londra e, fingendo di aver ricevuto cattive notizie, cominciò a vendere titoli di Stato britannici (consols). Gli altri operatori, pensando che l’Inghilterra fosse stata sconfitta, seguirono il suo esempio e il valore dei titoli crollò. A quel punto, i Rothschild comprarono massicciamente a prezzi stracciati. Ma, quando giunse la notizia ufficiale della vittoria, i titoli risalirono vertiginosamente, e la famiglia realizzò un guadagno colossale.

Borsa di Londra nel XIX secolo

Tuttavia il loro profitto, in questo periodo, non fu certo dovuto solo a questo atto speculativo: con la caduta dell’impero napoleonico, l’Europa entrò nell’era della Restaurazione. Austria, Prussia e Russia formarono la Santa Alleanza, e i Rothschild diventarono i principali banchieri di questo nuovo ordine conservatore, finanziando governi, ricostruzioni e alleanze politiche.

Il prestigio conquistato spinse la famiglia ad espandere ulteriormente la propria influenza. Non solo furono banchieri dei grandi imperi restaurati, ma arrivarono a gestire anche le finanze della Chiesa di Roma. Dopo la fine delle guerre napoleoniche, infatti, lo Stato Pontificio versava in condizioni finanziarie difficili. E, nel 1832, sotto il pontificato di Gregorio XVI, la Santa Sede negoziò con i Rothschild un prestito di circa 400.000 sterline (una somma ingente per l’epoca). A condurre l’operazione furono James Mayer de Rothschild (ramo di Parigi) e Carl Mayer von Rothschild (ramo napoletano).

Klemens von Metternich

L’accordo fu favorito anche dall’intervento del cancelliere austriaco Klemens von Metternich, interessato a stabilizzare le finanze pontificie per rafforzare l’equilibrio conservatore in Italia. Carl Mayer si recò personalmente a Roma, dove ricevette onori ufficiali: a lui –  si racconta –  che, diversamente dal protocollo, non fu chiesto di baciare i piedi del Papa, ma solo l’anello, un gesto che suscitò malumori negli ambienti cattolici tradizionalisti, e, per quanto incredibile, documentato anche nel libro Milady Vine (1984) di Philippe de Rothschild, discendente della famiglia.

Il prestito, pur necessario alla Santa Sede, generò polemiche. Alcuni ecclesiastici giudicarono l’affare inopportuno; altri sottolinearono i rischi di indebitare lo Stato Pontificio con una potenza finanziaria straniera. Il cardinale Antonio Tosti tentò di rifinanziare il debito in termini più vantaggiosi con altri istituti, ma i Rothschild bloccarono tempestivamente l’iniziativa.

Per ottenere condizioni migliori, Tosti si era rivolto a sei banche rivali dei Rothschild a Parigi, alcune protestanti, altre ebraiche. L’operazione fu inizialmente segreta, ma quando i Rothschild di Napoli vennero a sapere dei contatti di Tosti con la concorrenza, inviarono Carl Mayer von Rothschild a Roma. Egli ricordò al cardinale che un contratto precedente dava loro diritto di prelazione sui nuovi prestiti papali. Alla fine, le due parti raggiunsero un accordo congiunto e il prestito fu rifinanziato, senza violare il diritto dei Rothschild.

Papa Gregorio XVI

A margine di questa operazione, tramite Metternich, che fungeva da intermediario, i Rothschild chiesero al papa una serie di concessioni nei confronti degli ebrei residenti nei domini papali, come gli ebrei di Ancona. Papa Gregorio XVI pur mantenendo una politica cattolica tradizionale, ed opponendosi all’indifferentismo religioso, non si tirò indietro dalle concessioni richieste.

Ma, quello del 1832 non fu l’unico episodio in cui un pontefice dovette mettersi nelle mani dei potenti banchieri dello “scudo rosso”: durante il pontificato di Pio IX, dopo la caduta della Repubblica Romana (1849) e la restaurazione dello Stato Pontificio, i Rothschild concessero nuovi finanziamenti, consolidando la loro posizione presso la Curia.

Parallelamente all’espansione economica, la famiglia Rothschild ottenne anche il riconoscimento politico e sociale sotto forma di titoli nobiliari. Nel 1822, proprio un anno dopo la morte di Napoleone, l’imperatore d’Austria Francesco I, ex-suocero di Bonaparte, concesse a Mayer Amschel Rothschild e ai suoi discendenti il titolo di Baroni dell’Impero d’Austria, nominandoli: Freiherren von Rothschild.

Questo gesto aveva un duplice significato: da un lato premiava i servigi resi alla monarchia asburgica durante le guerre contro Napoleone, dall’altro sanciva l’integrazione ufficiale di una famiglia ebrea nell’aristocrazia europea, cosa rara e straordinaria per l’epoca (dopo di loro si dovette aspettare che la regina Vittoria creasse baronetto Moses Montefiore nel 1837). Il titolo baronale rafforzò ulteriormente la posizione dei Rothschild, che, a questo punto, non erano più solo banchieri di principi e sovrani, ma essi stessi parte della nobiltà continentale.

Congresso di Vienna

Eppure, nonostante i fatti testé narrati, nell’Ottocento prese piede una leggenda: l’idea che l’ascesa dei Rothschild fosse connessa alla Rivoluzione francese e volta a destabilizzare le monarchie europee. Ma, la realtà storica, come abbiamo visto, racconta l’opposto. I Rothschild non furono per nulla “rivoluzionari” né alleati di Napoleone, ritenuto il “figlio della Rivoluzione”, ma banchieri al servizio dei sovrani, che aiutarono a preservare e restaurare il vecchio ordine.

La loro grandezza nacque certo dalla capacità di sfruttare il caos delle guerre rivoluzionarie, ma offrendo  sicurezza e liquidità ai vecchi potenti del continente. Furono – si può dire – il braccio finanziario delle aristocrazie legittimiste, nonché i garanti dell’ordine che uscì vincente dalle guerre napoleoniche. Persino il papato, custode di un’autorità tradizionale avversa per principio ai “perfidi giudei” (così recitava l’antica formula del Messale tridentino, o meglio, in latino: “perfidis Iudaeis”), finì per affidarsi a loro, riconoscendo nella rete dei Rothschild la più solida garanzia per la tutela delle proprie finanze.

Giovanni Balducci

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